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Prendo spunto da una fotografia, diventata come si dice oggi “virale”, di una azienda di Frascati (deliziosa cittadina vicino Roma, conosciuta per il buon vino, le osterie, e meno conosciuta per un patrimonio di opere d’arte che come spesso accade passa in secondo piano), che utilizza per pubblicizzare delle scarpe la foto di una ragazza distesa, jeans slacciati, in una posa che ricorda uno stupro, ma a me a dire il vero ha evocato una ragazza ubriaca all’uscita di una discoteca. Non la riposterò, ovviamente. Vorrei, ma non posto.
Non mi soffermerò a pensare a ciò che ha spinto l’Azienda a pubblicare una foto del genere: l’Azienda fa l’Azienda di mestiere, quindi di certo deve far parlare di se e probabilmente ha ricevuto suggerimenti sbagliati. E non mi soffermerò neanche a scrivere le note “giustificative” dell’Azienda stessa, peraltro ridicole, che nel tentativo di mitigare gli animi cita in ordine sparso: #SpencerTunick, #DavidLachapelle, #MarioTestino, #OlivieroToscani, #ArakiKinbaku, #RobertMapplethorpe, #FrankHorvat, #HelmutNewton, #MustafaSabbagh, #AoiKotsuhiroi #BorisBidjanSaberi, #RickOwens, #AnnDemeulemeester, #GoshaRubchinskiy, #Demobaza, #MichelLamy, #IsseyMiyake, #YohjiYamamoto, #DiLiborio, #KarlLagerfeld senza probabilmente neanche sapere tanto bene chi siano, chiosando poi con:
“le mutandine della ragazza sono ben aderenti quindi si capisce che non è uno stupro.”
…
La foto è orribile e gratuita, scattata peraltro pure male. Ma non mi importa, in questa sede. Mi importa invece di stabilire un concetto e per farlo userò un esempio:
Se oggi, un vostro amico vi porgesse un telefono cellulare e vi dicesse: “ho scoperto questa cosa! Riesco a comunicare con altri senza bisogno di cavi elettrici!” voi cosa pensereste?
Bene: in fotografia è lo stesso. Tutto è stato fotografato, tutto è stato fatto e in tutti i modi. La stessa foto pubblicitaria di cui si parla è stata fatta per la prima volta nel 1880, poi replicata in un milione di occasioni più o meno conosciute fino ad arrivare alle conosciutissime provocazioni (simili ma non uguali) di Oliviero Toscani. Ma con una differenza fondamentale: era la prima volta che si utilizzava una foto “provocatoria” in una campagna pubblicitaria. Una grande Azienda, decise di farlo (1987) e il risultato fu devastante in termini di diffusione di un marchio e visibilità di un “fotografo” che molto prima dei “social” arrivò a numeri “da social”.
A me non piacque all’epoca, così come mi fa cagare la fotografia frascatana. Quest’ultima per un motivo molto molto molto importante: nessuno né dell’Azienda né tra i “creativi” coinvolti, ha svolto una ricerca iconografica, nessuno si è peritato di “misurarsi la palla” e io credo che per la prima volta nella storia questo negozio frascatano pur avendo milioni di condivisioni della foto, avrà un calo delle vendite.
Vabbè ma cosa voglio dire? Una cosa che credo sia semplice: NON è più possibile creare, pensare, scattare e pubblicare una foto (provocatoria o meno) che non sia già stata realizzata. Il tentativo di “stupire” non funziona più. Inutile arrabattarsi a cercare “cose nuove”. Tutti i nomi citati a caso nella giustificazione scricchiolante dell’Azienda hanno avuto la loro epoca, il loro spazio; la fotografia, e le arti grafiche in genere, erano più “complicate” nel senso che i mezzi lo erano. Complicati da usare e costosi da mantenere. Toscani (che non è un fotografo ma un pubblicitario ed è nato nel 1942, figlio del primo fotoreporter del Corriere della Sera) ha avuto, oltre alla grande capacità di inventare, la fortuna di avere un vuoto inesorabile dietro e una bella strada libera davanti. Bravo, senza dubbio, ma nel momento storico giusto. E così via tutti gli altri. Gastel, citato spesso, ha in qualche modo reinventato la fotografia di moda soprattutto in Italia, ma oggi le sue foto sembrano in taluni casi, leggendole con superficialità, scialbe e vuote. Il tentativo di stupire e apparire, superato il calmiere della difficoltà del mezzo, sta raggiungendo limiti parossistici.
Tornando all’esempio del telefono cellulare, è probabile che tra qualche anno potremo acquistare una supposta (spero piccola) che adeguatamente inserita ci permetterà di telefonare in viva voce senza avere in mano alcunché. Beh, io personalmente non mi stupirò più di tanto. Il telefono “celluanale” non sarà altro che una evoluzione di una invenzione che è di fatto legata ad una scoperta del 1878. Non rivoluzionerà il nostro modo di comunicare, al massimo lo semplificherà a meno non soffriate di emorroidi. E così è ora per la fotografia: tutti fotografano. Una azienda che costruisce cellulari fa pubblicità al suo apparecchio per la qualità delle foto e non perché ti consente (magari) di sentire meglio la voce del tuo interlocutore, quello interessa poco.
Questo fa si che ragazzine belle e 20enni scrivano nel loro curriculum : photographer, model, scrittrice (in italiano chissà perché), fashion ambassador. Tutto assieme eh, una unica ragazzina. E un’altra bella e 20enne che avendo iniziato a fotografare 19 secondi prima scrive che “può dare consigli a chi inizia”.
Fa si che marescialli delle forze armate stiano molto più in giro a fotografare (bene o male non importa, ma di certo pagati poco e al nero) che non in caserma, il che andrebbe pure bene se lo stipendio non glielo pagassi anche io.
Fa si che una mia amica si vergogni a scrivere nel suo profilo Facebook “commercialista”. Con due lauree, un master, due esami di stato, lei si vergogna.
Fa si che vi siano milioni di meteore, di fenomeni transitori, e miliardi di immagini ogni minuto che sono uguali a quella di qualche secondo prima, con beata ignoranza dell’autore stesso. Belle e brutte, non importa a nessuno.
E tutto questo fa si che un ignorante decerebrato possa convincere una Azienda (che è ignorante di suo, ma fa l’Azienda) che quella è una immagine di ricerca, provocatoria, evocativa e unica. E a me non frega nulla di questo. Mi importa invece pensare con terrore che questa strategia, questo pensare che “la penna fa il poeta” (lo so, lo dico spesso) che “le pentole fanno il cuoco”, sia davvero miserabile e deleteria ma non per la fotografia (della quale non mi frega più nulla) ma per il nostro modo di vivere, di campare. Ognuna di queste persone vive, vota, probabilmente qualcuno di questi nel suo lavoro reale, mi controlla e comanda. E lo fa con me e con voi, con le vostre famiglie. Io ho litigato di brutto con un “sono5stelle”, dopolavorista dell’azienda degli autobus romana che dice “è ora che tutto questo finisca!” mentre stringeva un tubo di una lavatrice chiedendo 70 euro (al nero) per l’intervento. Questa gente, è quella che butta la cicca accesa dal finestrino della sua BMW (o Panda, è uguale) e poi si lamenta della città sporca. Semplicemente non guarda gli altri, il passato e il suo prossimo. E’ solo “io medesimo”.
Non pensiate, per favore “ma che c’entra?”…pensateci bene: la base di tutto è l’ignoranza. Io faccio foto, a pagamento. E quando le scatto lo faccio con il cuore e con il bagaglio culturale che ho nella mia testa. E che continuo ad ampliare, tornando indietro nel tempo, leggendo, studiando. E non ho MAI detto di scattare opere d’arte. Faccio fotografia commerciale, se possibile pulita ed onesta, e so per certo che la mia foto è già stata scattata prima, financo da me medesimo. Ma sono in grado, da solo o male accompagnato (…ora qualcuno si incazza…) di scattare un catalogo di 90 pezzi indossati in una giornata senza avere mai visto prima i capi e la location. Semplicemente perché ho affinato una tecnica: so come si fa, non devo stare a pensare troppo a trovare la luce, so usare bene la macchina, cerco di rapportarmi con modelli e cliente nel modo giusto e non penso all’Arte. So che devo svolgere un lavoro, ad un prezzo onesto, e ringrazio il cielo che qualche Azienda me ne dia ancora la possibilità. Non scatto “opere d’arte” con 110 persone (che sono li gratuitamente per l’Arte) lo “staff che ringrazio” per poi pubblicarle in magazine di cui (cit.) “anche i parenti stretti dell’editore ignorano l’esistenza”. Non me ne frega nulla, di tutto questo, non ne sono capace. Se riesco ad andare in vacanza, la macchina fotografica rimane a casa.
Non indignatevi per una foto di merda, che ce ne sono tante in giro adesso, molte più di prima ovviamente. Pensate più che altro che questa gente è ovunque e in genere è molto meno pericolosa con una macchina fotografica in mano, perché l’ignoranza che sbandiera al vento viene esplicitata solo da una foto su instagram e coperta dalla successiva in un milionesimo di secondo.
Il vero problema è che poi magari è l’insegnante elementare di vostro figlio.
Aggiornamento (sulla cagata frascatana): almeno l’azienda che produce le scarpe, prende le distanze.