(Si parla di fotografia, ma con una metafora iniziale che sarei davvero felice poteste cogliere. E magari “ripensarvi” un pochino, come faccio anche io continuamente. Prendetevi 10 minuti.)
Un po’ di tempo fa, ero Presidente di un famoso motoclub romano, monomarca. Non una compagine di “smanettoni”, ma per lo più formata da tranquilli passeggiatori amanti di aria libera, dello stare assieme e certamente con grande passione per le moto. Alcuni di noi ottimi motociclisti (anche ex corridori pro), altri un pochino meno, altri davvero scarsi e pure pericolosi. All’interno del club questa ultima “corrente” (gli scarsi e pericolosi) le parola d’ordine era “LMVM” e cioè “la moto va male”. La colpa delle loro scarse performance era sempre della moto, degli pneumatici, della strada, del colore del cielo, dell’umidità dell’aria, della benzina di certo annacquata. Gli LMVM non ascoltavano i consigli o le pacate osservazioni di chi tra noi era un pilota di moto, o comunque un valente comprovato motociclista, ma anzi se ne fottevano beatamente di alcune indicazioni che erano invece solo dettate dal buon senso, una tra tutte “Adattate il vostro stile di guida alla strada che percorrete. Possono esserci buche, dossi, macchie di olio, brecciolino, terra, bagnato…siate coerenti con il modello di moto che avete comprato e in questo modo le vostre performance saranno sempre il massimo possibile.” Nulla da fare: gli LMVM continuavano con la loro arroganza e sicumera a dare la colpa delle loro “svisate” alle condizioni avverse, con particolare riferimento alla moto, che spesso continuavano a cambiare, acquistando modelli sempre più costosi e potenti, peggiorando la loro situazione in strada perché come dice il saggio “la potenza non è nulla senza il controllo”.
Nella compagine degli LMVM fu presto accolto e salutato come un eroe, un meccanico di moto: un bravissimo meccanico specialista in “tuning”, cioè quella pratica che consente, con modifiche più o meno lecite, di aumentare le prestazioni del mezzo meccanico. Finalmente! Era arrivato il loro salvatore, colui il quale avrebbe finalmente dimostrato la teoria LMVM. Presto detto, tutte le moto passarono per l’officina di questo valentissimo meccanico uscendone rinnovate in cambio di pochi euro! In men che meno, quasi tutti gli LMVM furono soddisfatti, felicissimi e addirittura si creò una specie di “sotto-club” nel quale essi stessi organizzavano incontri e uscite in moto tra di loro, affrancandosi pian piano dal Club “principale” che continuava a organizzare gite e viaggi basati (certamente) sul piacere di guida ma anche sulla voglia di stare assieme, di fermarsi a fare chiacchiere, tra una bella curva e l’altra, traendo il MASSIMO dal tutto e non solo dal mezzo meccanico o dalla strada. La MASSIMA performance, tecnica, umana, per il miglior risultato possibile.
Ma allora cosa era successo? Conoscevo bene il meccanico, come detto valentissimo, ma davvero il problema di questa gente era la moto e non (semplicemente) il fatto che questi LMVM non fossero adatti alla guida di moto, aggravata dal fatto di sentirsi piloti esperti?
No, in realtà no. L’amico meccanico aggiungeva alle moto un led collegato ad un piccolo e “segreto” microinterruttore che gli LMVM dovevano azionare per scatenare la superforza! In realtà la manovra accendeva solo il led. In aggiunta a questo, due piccolissime e reversibili modifiche al contagiri e allo scarico: il contagiri starato per far comparire circa 800 giri/minuto più del reale e la marmitta con un rombo leggermente piu “tuonante”. E oltre a queste due “modifiche”, una grande, enorme, incommensurabile lezione di vita su un noto bias cognitivo e una lectio magistralis sulla capacità che i “like autoprodotti”, di qualunque genere, sia social che di “pacche sulle spalle” come tra i componenti del “sotto-club LMVM”, potessero rendere davvero le PROPRIE performance migliori e relegare noi (coglioni) solo a dei saputelli saccenti.
Ci sono alcune parole molto importanti, da tenere a mente: passione, mezzo, performance, adattamento.
Pochi giorni fa, ho partecipato ad un “work sharing” fotografico. I “workshop” fotografici, con particolare riferimento a quelli che conduco io, che parlano di Donna e di fotografia glamour, vengono spesso visti come un “mezzo” per fotografare belle signorine più o meno vestite e portarsi a casa millemila foto che non si avrebbe occasione di scattare altrimenti (per quantità di signorine, mezzi a disposizione, location, trucco e parrucco, stilisti, ecc.). Alla maggior parte delle persone che si iscrivono ai miei Workshop non frega nulla o quasi nulla del fatto che fotografo da 36 anni e che se in qualche modo sopravvivo di questo ci sarà pure un perché. Non frega assolutamente nulla (o quasi nulla) del fatto che ho realizzato fotografie con qualunque mezzo, dal foro stenopeico all’ultimo ritrovato digitale.
Più genericamente direi che per la maggior parte dei partecipanti, le mie chiacchiere rubano solo tempo alla fase di scatto della signorina di turno. Non è una lamentela, ne sono cosciente e a dire il vero non me ne frega nulla, ma mi dispiace per i pochi che invece avrebbero voglia di starmi a sentire per qualche minuto. Cosi, sono stato felice di partecipare a questa sorta di combinazione tra “model sharing” (nel quale si stabilisce un turno per ogni fotografo che poi usa la location, le attrezzature e le prestazione della modella, senza seguire alcuna indicazione) e di un workshop (dove invece un “master” cioè uno che ne dovrebbe sapere qualche cosa, parla di fotografia e da indicazioni, spesso impostando anche un tema da seguire).
Felice perché mi pareva il metodo migliore: io sono li, se vuoi parlarmi o chiedermi qualche cosa, se ti interessano le mie parole, sono a tua disposizione. Se non te ne frega un’emerita mazza, pranziamo assieme e ti fai le tue foto. Molto bene.
No, diciamo bene ma non benissimo.
L’organizzazione di questo evento (di 2 giorni, tra l’altro) organizzato da una persona talmente appassionata che ne ha fatto ragione di vita, Max Arcano, creando anche una splendida Associazione (AFD, qui tutto su di loro) è stato svolto in due splendide località: Trani e Matera, con il solito staff di truccatrici, parrucchieri, assistenti, luci e accessori di un’azienda condotta da uno strepitoso ragazzo e sua moglie (Tullio Ceppaglia e Grazia), due stilisti, un gioielliere artigiano, me stesso (coadiuvato dal fido Marco Pasqua) e due modelle.
Ecco il punto: due modelle distanti tra loro 30 anni. Quasi mamma e figlia, con ovvie diverse peculiarità e con attitudini differenti, bellissime ognuna per la propria età: Sara Iunco e Tina Kanaki.
In tutti gli eventi che ho visto o condotto, partecipano novizi, appassionati di fotografia, amanti della fotografia, talvolta professionisti (ho scritto di quello che credo sia la differenza tra professionista e amatore qui) e poi ci sono gli o le LMVM che in questo caso diventa l’acronimo di: La Modella va male. Vorrei soffermarmi su questi ultimi. Gli LMVM in genere sono lamentosi: la modella è troppo anziana, è troppo giovane, non sa “fare le pose da sola”, la luce è troppa, è poca, è variabile o ancora la location “non mi piace” è troppo bianca, è troppo scura ecc. ecc. Agli o alle LMVM quando la foto viene male chiedono che diaframma devono usare e poi danno la colpa alla loro ottica che non è un f/1,2 ma solo f/4. Non hanno assolutamente voglia di ascoltare una risposta e non guardano mai nulla a parte la modella, o meglio, “parti” di questa.
Spesso li vedo scattare con 4 flash alla luce del sole, immagino nello strenuo tentativo di superarlo in potenza, creando foto dove le ombre sono numericamente 4 volte i soggetti, nelle quali la modella sembra l’apparizione di Lourdes, ovviamente non notando che alle spalle c’è il bidone della spazzatura; della location, di cui si lamentano, si vede al massimo una parete, eseguendo praticamente solo ritratti. Gli LMVM non possiedono alcuno spirito di adattamento, perché il loro tentativo è quello di portare a casa le loro foto da “likkeare” con il loro club. Se poi sono tutte uguali, se il soggetto è solo la bellezza della modella, se non c’è alcun artifizio fotografico, non c’è una storia da raccontare e la prima fotografia è uguale all’ultima, con la modella in posa che più che plastica, definirei “di plastica”, non fa nulla.
Nel loro club ci sarà il giusto riscontro e i complimenti più imbarazzanti. Ovviamente se la modella non è quella che si aspettano (per bellezza, disponibilità, nudità ecc.) si lamentano e si offendono. Mai penserebbero che (solo per fare un esempio) io stesso mi ritrovo a scattare per lavoro in location che non ho mai visto, con un decimo delle assistenze presenti in un evento come questo e certamente con una o più modelle scelte dal cliente, talvolta davvero imbarazzanti.
Mai si siedono 5 minuti a pensare: “beh, ok, sono qui per fare allenamento, ora mi invento una storia da raccontare e la faccio. E fan culo i like dei miei amici, oggi imparo davvero”. Eh no, gli LMVM se non hanno Belen, la Reggia di Caserta e 14 flash non possono esprimere la loro coerente incoerenza: la loro NON passione per la fotografia. Mai immaginerebbero che si possono fare foto (anche glamour) diverse dal loro stereotipo usuale e del loro club.
Poi ci sono, per mia fortuna, gli altri. Potrei raccontarvi storie di fotografi e fotografe nati anche grazie al mio aiuto e che ora lavorano più di me e con merito. Potrei parlarvi di Carmine, Dario (professionista), Giuseppe che hanno realizzato scatti davvero “giusti” in questi due giorni, ma mi limiterò a citarne solo una, il cui approccio è dettato da due parole che adoro: umiltà, ricerca.
Annalisa Mascolo, altamurana, ha queste e più peculiarità: è assidua, perseverante, riflessiva. E’ una Donna giovane e molto bella (sopportando il mio stalkeraggio) e questo probabilmente la avvantaggia nel rapporto con la modella. Parla, si ferma, guarda. Se la situazione non le piace non scatta ma ovviamente non rinuncia. La cambia o cambia lei. Crea racconti, storie per immagini. Usa anche una Polaroid 600 che probabilmente è il peggior pezzo di plastica mai costruito, ma che ha alcune peculiarità: è terapeutica, facile, un colpo solo, non mille scatti e mille filtri.
Le sue 10 foto (la foto finale è quella della copertina di questo articolo) raccontano una storia di seduzione, di tempo che passa, di colore e di vita.
Parla di un confronto tra Donne, di un cammino, di gioie e dolori, di sole e passione. E’ una storia che si basa sul tutto: location, modelle, luce.
Per quanto Annalisa si sforzi di ricordarmi che in qualche modo posso averla aiutata nel suo percorso, in realtà Lei lo ha creato da sola il suo cammino e il bello della sua strada è che sarà infinita: la invidio per questo.
Non un punto di arrivo, ma il viaggio.
Grazie ad Annalisa e a tutti quelli che, come lei, pensano che il problema non sia quasi mai la moto o la strada, ma che il limite sia la mancanza di amore verso se stessi: non volere imparare, non volere accettare una sfida, pensare di essere arrivati per 13 like su instagram (n.d.r. like alla e per la modella in genere…) significa non volersi bene. Pensateci.
In coda, una mia citazione dell’Afgana adulta dell’amico Steve McCurry, col quale ho condiviso un paio di workshop nei quali eravamo i master. Le foto sono state scattate durante l’evento di Matera con una macchina prestata (non avevo la mia, non la porto mai in occasione di workshop, non devo scattare foto io ma i partecipanti) e la modella è Tina Kanaki, classe 1968.
La post è stata effettuata solo con Lightroom e con il plugin “multiobiettivo” ho realizzato la composizione. La luce era quella che filtrava da una porta semiaperta e il muro quello del mio b&b. Un pannello riflettente del prode Marco Pasqua e il trucco di MariaTeresa Mileo.
Siate gentili con voi stessi: è assolutamente possibile che la moto non sia il mezzo di trasporto a voi più adeguato, ma questo non toglie nulla alla vostra bravura in altri campi. Se si continua ad andare dritti in curva, o cambiate mezzo di traporto o cambiate la vostra testa.
Non prendetevela sempre con la moto.
“Life is Good. Photography is only an option.”
Dorothea Lange
Enjoy.